La rabbia, un’emozione da esprimere o da evitare?

Il termine emozione significa «mettere in movimento», ciò ci suggerisce che ogni emozione implica una tendenza ad agire, ad andare verso qualcosa, solitamente una cosa buona o ad allontanarsi da qualcosa, solitamente una cosa pericolosa o spiacevole.

La nostra vita, la nostra giornata è caratterizzata da un succedersi di emozioni, che fin da bambini ci accompagnano e ci inducono ad adattamenti comportamentali importanti per la sopravvivenza e per il benessere della persona, facendoci sperimentare anche determinate reazioni fisiche.

Ci sono delle emozioni che sono chiamate universali, perchè universalmente riconosciute, a prescindere dalla cultura di appartenenza. Queste emozioni sono la rabbia, la gioia, il disgusto, la sorpresa, la tristezza e la paura.

L’essere accomunati dal provare le stesse emozioni ci consente di cogliere ciò che l’altro prova e, nella relazione con i bambini ci permette di aiutarli a comprendere cosa sta succedendo dentro di loro dando parola al loro mondo interno. I bambini, soprattutto se piccoli, quando avvertono un’emozione, reagiscono ancora prima di capire cosa stia succedendo dentro di loro. Per questo è importante che anche l’adulto abbia una buona consapevolezza di sé, un buon controllo delle proprie reazioni emotive, affinchè possa comunicare in modo costruttivo con il bambino. Non è sempre facile aver chiaro il proprio mondo interno: a volte si può sentire di non riuscire a controllare le proprie emozioni e ci si può sentire sopraffatti, confusi e disorientati; sentimenti che hanno diritto di cittadinanza e che possono essere compresi. Quando si è affaticati ed in difficoltà a farlo da soli, si può scegliere di lavorare su queste parti di sé, in un contesto adeguato, psicoterapeutico, con l’aiuto di un professionista che possa aiutare a fare chiarezza, a ridefinire o ritrovare la propria tranquillità interna. Se l’adulto, il genitore, non vive con serenità le proprie ed altrui manifestazioni emotive, anche il bambino potrà esserne in qualche modo influenzato, soprattutto quando parliamo di espressioni emotive intense.

Quando un bambino si arrabbia, ad esempio, può urlare, piangere, lanciare oggetti, colpire l’adulto che ha davanti. Come lo si può aiutare a comprendere che quello che gli sta accadendo è l’espressione della sua rabbia? Come deve comportarsi un adulto davanti a queste manifestazioni?

Non è sufficiente, ovviamente, dare solo il nome all’emozione riconosciuta, provata, serve aiutare il bambino a comprendere come controllare la propria reazione, il proprio pensiero, aiutarlo a diventare consapevole di ciò che prova, affinchè possa imparare a modulare la propria reazione. Certamente non è facile per il bambino e, spesso, neppure per gli adulti.

La rabbia è un’emozione che tutti proviamo, è naturale, ma troppo spesso rischia di essere censurata, negata, perchè la sua componente distruttiva spaventa. Può capitare che si tenda a riprendere un bambino quando si arrabbia, perchè si considera la sua rabbia negativa.

In realtà le emozioni non possono essere considerate positive o negative, perchè sono qualcosa di istintivo che tutti proviamo, ciò che viene connotato in modo positivo o negativo è il tipo di reazione sollecitata dall’emozione. È importante, anche con l’esempio, trasmettere al bambino che non è sbagliato provare e manifestare le proprie emozioni, ciò che conta è imparare a controllare il modo nel quale si esprimono, si reagisce.

La rabbia, intesa come emozione, non è negativa, anzi, è necessaria per poter reagire alle minacce, ai pericoli, è percepita come una carica vitale che ci permette di raggiungere degli obiettivi.

Se espressa nel modo giusto e al momento giusto, anche quest’emozione può essere appropria ed indispensabile a conoscere meglio delle parti di sè. Pensiamo ai bambini, quando arriva un nuovo nato, come reagiscono? Ne sono gelosi, si arrabbiano e in questo modo rivendicano le attenzioni su se stessi, perchè si sono sentiti trascurati in favore del nuovo nato. I bambini si trovano a doversi misurare con la perdita, con la paura, ma se compresi, accolti e permettendo loro di esprimere ciò che provano, potranno scoprire di poter affrontare e superare la nuova situazione.

Pensiamo agli innamorati, litigano quando uno dei due pensa che l’altro stia rivolgendo altrove le proprie attenzioni, sentono che la relazione viene messa in pericolo e ciò suscita angoscia e collera. L’espressione di questi vissuti, se accolti ed ascoltati, possono portare ad un confronto e a ristabilire gli equilibri del rapporto, che per svariati motivi si possono essere destabilizzati.

Abituarci a riconoscere le nostre emozioni, dargli un nome, esprimerle in modo adeguato ci permette di migliorare la relazione con noi stessi, con gli altri, di insegnare ai più piccoli l’importanza e la ricchezza del proprio mondo emotivo, facendoli sentire capiti ed accolti.

Avere una buona conoscenza di sé incrementa l’autostima e ciò consente di gestire le emozioni in modo positivo e costruttivo, per questo può essere prezioso saper riconosce un proprio (o altrui) disagio interno e, in caso di necessità, rivolgersi ad un professionista per poter dare senso alla confusione, alla fatica che dentro di sé si può provare e che ha diritto di essere accolta e compresa. 

Ero adirato col mio amico,

dissi la mia ira, la mia ira finì;

ero adirato col mio nemico,

non la dissi, la mia ira crebbe.

Manuela Zucchinali

Cefalea miotensiva: nuove evidenze ed efficacia dell’osteopatia sulla riduzione del dolore

La cefalea miotensiva è la più comune fra le “cefalee primarie”, con una prevalenza nella
popolazione mondiale attorno al 40% ed una netta predominanza nel sesso femminile. Di
frequenza e durata variabili, è caratterizzata da dolore bilaterale di tipo gravativo-costrittivo
e comporta costi altissimi ogni anno, fra visite ospedaliere, specialistiche ed esami di
laboratorio. Le terapie convenzionali offrono rimedi esclusivamente sintomatici, per lo più
farmaci analgesici o FANS. Eziologia e patogenesi, come per le altre cefalee primarie, sono
ancora ignote. Tuttavia recenti studi hanno evidenziato l’intima relazione fra la muscolatura
suboccipitale (cervicale alta) e la dura madre (la più esterna delle meningi), a formare un
complesso funzionale che, se sottoposto a tensioni anomale, può ridurre il drenaggio del
liquido cefalo-rachidiano a livello della base cranica, con conseguente aumento della
pressione inter-meningea e manifestazione del sintomo. Su queste basi, la terapia
manipolativa è stata largamente testata come cura alternativa non farmacologica, per la
riduzione di intensità e frequenza della cefalea. In questo ambito l’Osteopatia si differenzia
dalle altre terapie per via di un approccio non soggetto a protocolli, ma basato sulla
risoluzione delle disfunzioni rinvenute sul singolo paziente, tramite tecniche dirette ed
indirette ormai riconosciute efficaci sulla riduzione di intensità e frequenza della cefalea.

Marco Leoni – Osteopata
Laurea quadriennale britannica in Osteopatia
Bachelor of Science in Osteopathy, University of Wales
Master in Osteopatia pediatrica
Post graduate Certificate in Osteopathic Care of the Paediatric Patient, University College of Osteopathy (Londra)
Membro R.O.I. (Registro degli Osteopati d’Italia) – tessera numero 1971

Dormi dormi mio piccino…

Il sonno ha una funzione fisiologica molto importante per tutti gli esseri viventi, dormire bene ci fa sentire riposati, più reattivi, più concentrati, ci fa stare bene. Per questo il tema del sonno è spesso caro a molti genitori, perchè la famiglia dorma tranquilla, anche i piccolini devono poter trascorrere notti serene, ma a volte ciò non accade, perchè?

Il sonno dei bambini è fisiologicamente diverso dal sonno degli adulti, perchè nei bambini, fino ai 4 anni di età circa, sono presenti solo 2 fasi del sonno: REM e NREM, ovvero sonno tranquillo/sonno attivo e il piccolo nella fase di transizione tra le due, deve imparare a legarle per non svegliarsi completamente.

Alla nascita la fase REM occupa il 50% del sonno del bambino, in modo da consentirgli dei facili risvegli per soddisfare i suoi bisogni di nutrimento, di essere cambiato, di rassicurazione, inoltre favorisce l’autostimolazione, perchè il cervello del bambino continua a formare connessioni e ciò consente lo sviluppo cerebrale. Durante il sonno REM i bambini appaiono più agitati, si muovono, fanno smorfie, spesso piangono. Il bambino, gradualmente, va accompagnato ad imparare a legare le fasi del sonno tra di loro, senza svegliarsi, come è per gli adulti. Verso i 4 anni il loro sonno diventa più tranquillo e più simile al sonno dei grandi.

Il sonno dei bambini è quindi differente da quello degli adulti, spesso è caratterizzato da risvegli ed è più movimentato. Diverso è anche ciò di cui il bambino ha bisogno per potersi addormentare, anche questa, come molte altre, è un’abilità che il bambino deve acquisire gradualmente e con l’aiuto dei genitori.

Il piccolo accompagnato dai genitori all’addormentamento, soprattutto serale, potrà sentirsi più sicuro e tranquillo, tanto da potersi rilassare e addormentare.

La costruzione di una routine serale è un primo aspetto importante per aiutare il bambino a rilassarsi e a prepararsi per la nanna. La fase dell’addormentamento serale è un momento speciale, ma anche significativo, lasciarsi andare al sonno significa anche stare tra sé e sé e a volte ciò può preoccupare il bambino.

Dedicare un momento, prima della nanna, a fare il “pieno di coccole” dalla mamma, può rassicurare il bambino, tranquillizzarlo rispetto a ciò che sta per accadere.

La routine serale, si integra nella routine giornaliera del bambino, è importante che sia certamente ripetitiva, ma anche flessibile, per questo ogni genitore si sintonizza con i bisogni del bambino, con le sue necessità e modula i suoi interventi in base a ciò. Se una sera lo si vede stanco prima dell’orario previsto, si anticiperà la routine della nanna, per assecondare il bisogno del piccolo, un bambino troppo stanco faticherà di più ad addormentarsi.

Accompagnare il bambino nei passaggi preparatori alla nanna, ovvero lavarsi, indossare il pigiama,  leggere magari una storia con mamma e papà, portare con sé tutti gli oggetti per lui importanti in fase di addormentamento, lo preparano a ciò che sta per accadere. Un saluto a tutto ciò che si lascia per potersi lasciar andare al sonno.   

Può accadere però, che nonostante queste accortezze, il bambino manifesti alcune difficoltà durante il sonno, che possono far sentire i genitori affaticati, spingerli ad interrogarsi e a voler capire cosa stia accadendo al loro piccolo.

Se nei primi mesi i risvegli sono molto frequenti, ma necessari per soddisfare i bisogni del bambino, successivamente i numerosi risvegli possono diventare fonte di preoccupazione e affaticamento per i genitori.

I risvegli fino a 3-4 anni, sono fisiologici, li hanno tutti i bambini, anche quelli che sembrano dormire per tutta la notte, solo che i genitori non se ne accorgono perchè sono bambini che riescono a riprendere il sonno in modo autonomo e abbastanza silenzioso. Altri bambini, nei risvegli, richiedono l’intervento dell’adulto, ma basta una parola, una carezza o riprendere il ciuccio perchè torni a dormire.

Il 20% dei bambini, tuttavia, presenta risvegli definiti problematici, perchè richiedono l’intervento consistente del genitore e diverso tempo per riaddormentarsi. Altri, invece, tendono a far fatica ad addormentarsi alla sera. Tutto ciò può avvenire per diversi fattori, soggettivi, ambientali, che meritano di essere ben compresi, per poter cogliere cosa sta accadendo al bambino e come mai il suo sonno è turbato. In alcuni casi le difficoltà del sonno possono essere fisiologiche, in altre casi meritano un’attenzione e un approfondimento per poter comprendere al meglio i bisogni del bambino.

Alcune delle fatiche che si incontrano parlando con le famiglia possono essere:

  • difficoltà nell’addormentamento serale;
  • ripetuti risvegli notturni (dopo i 4-5 mesi);
  • riaddormentamento difficile durante i risvegli notturni;
  • poca tolleranza del bambino ad accettare di addormentarsi/dormire nel proprio lettino;
  • richiesta constante della presenza dell’adulto;
  • ritorno nel lettone;
  • risvegli ripetuti dopo la nascita di un fratellino;
  • incubi o pavor nocturnus;
  • dai 2-3 anni paura di dormire al buio;
  • influenze sul sonno legate al periodo Covid 19 che si sta vivendo (anche in pre-adolescenti e adolescenti)

Manuela Zucchinali

Parola d’ordine: Desiderio

Se c’è una cosa che mi piacerebbe venisse insegnata ai bambini e che fosse poi ricordata anche a noi adulti è la Gioia…ma non semplicemente intesa come il saltare, il ridere o scherzare giocosamente, io intendo quella gioia che nasce dal desiderio intenso di vivere, quel farsi travolgere da opportunità che molto spesso sono travestite temporaneamente da sconfitte. Ho scoperto, infatti, che molto spesso la sfortuna porta con sè delle inaspettate e spettacolari occasioni che improvvisamente ti stravolgono la vita; travolgere e stravolgere fannno parte di quella rivoluzione che ognuno di noi dovrebbe mettere in azione sin da piccolo e la rivoluzione non è altro che scegliere di essere felici, del resto la felicità non è uno stato a cui si arriva o che ti porta qualcuno, ma un passaggio attraverso le tempeste della vita. Insegnare ai bambini che la gioia può entrare nel loro cuore anche facendo esperienza del negativo è già un primo intervento educativo che contribuisce alla costruzione della felicità.

Raffi